I delfini, al pari degli animali più evoluti, possiedono un loro linguaggio strutturato.
Lo studio del linguaggio dei delfini è iniziato circa negli anni Sessanta. Trattandosi di animali sociali, non solitari, hanno un complesso sistema per comunicare fra loro, fatto di suoni e ultrasuoni che hanno un forte effetto terrapeutico sugli esseri umani. Oggi, esistono diverse registrazioni del linguaggio dei delfini e delle balene.
Spesso viene descritto come un canto, proprio perché il loro linguaggio è molto più musicale del nostro.
E’ ormai ben documentata la straordinaria intelligenza dei delfini, la loro sorprendente velocità di apprendimento
e la straordinaria sensibilità. A questa specie è sempre stata riconosciuta una particolare abilità a entrare in contatto
con gli esseri umani, a interagire e giocare in modo del tutto spontaneo con loro. Per queste caratteristiche, unite a una spiccata intelligenza, è stata presa in considerazione l’idea di utilizzare i delfini a scopo terapeutico nell’autismo, nelle condizioni di depressione o vari disturbi mentali.Sono nate specifiche terapie in cui il bambino viene messo a contatto con il delfino e, stando in acqua e giocando con lui, migliora notevolmente (e in tempi piuttosto rapidi) il suo stato di salute. I principali effetti che sono stati studiati sono un miglioramento nell’integrazione di alcuni aspetti della personalità e della corporeità, come la percezione di parti del corpo trascurate, stimolate dal movimento dei delfini e dall’acqua intorno a loro; la capacità di espressione e la spontaneità, favorita dal fatto che in acqua, in compagnia dei delfini, esistono meno regole, o sono comunque diverse dalle nostre; il movimento, stimolato anche dalla particolare vivacità dei delfini e la loro propensione al gioco e la disponibilità al contatto.
Il delfino è un essere dotato di enormi capacità comunicative, la cui storia evolutiva si è intrecciata spesso con quella di altri mammiferi terrestri, con cui ha in comune il sangue caldo, la modalità riproduttiva, la ricchezza di linguaggio, ma che presenta anche modalità particolari che riguardano la respirazione, il sonno, il veloce e silenzioso nuoto, la capacità di astrazione, la “trasmissione culturale” del comportamento. Inoltre, i delfini hanno una particolare capacità di comprendere certi tipi di linguaggio umano, come il linguaggio dei segni. Chi studia i delfini è certo che un giorno riusciremo a comunicare alla perfezione con loro, ma già oggi riusciamo a farlo con il linguaggio dei sordomuti. Di particolare interesse il mondo acustico fatto di echi, che consente ai delfini di percepire non solo la distanza, ma anche la forma, la grandezza, lo spessore degli oggetti o degli altri esseri viventi che incontra sul suo cammino. Questi mammiferi sono dotati di un ricchissimo “vocabolario”: oltre a fischiare, grugnire e strillare, riescono a emettere una vasta gamma di suoni percepibili da noi uomini, oltre a emettere ultrasuoni con frequenze troppo elevate per i nostri limitati organi acustici.
La ricercatrice australiana Liz Hawkins ha origliato per tre anni le loro conversazioni, cercando di interpretarle. Dopo aver individuato un gruppo di tursiopi (tursiops truncatus: detto “delfino dal naso a bottiglia”, è il delfino più noto), ha registrato i battibecchi di una cinquantina di coppie e isolato 1.647 suoni, che ha poi raggruppato in 186 categorie a seconda della frequenza e durata. Il risultato? Un elenco di 200 suoni diversi, di cui 20 molto comuni. Soprattutto, la ricercatrice ha scoperto che i classici fischi sono collegati ad alcuni comportamenti. Per esempio, quando cavalcano le onde i delfini emettono espressioni di euforia, mentre nelle nuotate in coppia emettono suoni regolari e simmetrici. Un gruppo di studiosi del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR) ha recentemente provato in questi animali la coesistenza di due tipi diversi di linguaggio, uno per “giocare” e l’altro per “comunicare” con il gruppo. I delfini parlano, ma con il loro gruppo utilizzano un “dialetto” particolare, che si sviluppa nel corso degli anni e che diventa un veicolo di riconoscimento fra esemplari della stessa comunità. «I delfini — spiega Massimo Azzali del Cnr — comunicano usando due linguaggi o segnali acustici: i suoni (frequenza 20kHz), detti segnali di vocalizzazioni, e gli ultrasuoni (frequenza tra 20 e 200 kHz), detti segnali sonar o di ecolocalizzazione». Le due vocalizzazioni sono molto diverse: le prime sono innate e vengono prodotte in occasione di uno specifico evento: in generale riflettono la reazione “emotiva” del delfino a uno stimolo esterno. Nel corteggiamento, quando hanno paura, quando si arrabbiano, quando sono stressati e in moltissime altre occasioni, questi mammiferi super-intelligenti emettono le frequenze da 20kHz. Come delle grida spontanee, immediatamente percepibili e affatto difficili da emettere e da essere comprese. I segnali sonar dai 20 ai 200 kHz invece sono più difficili da imparare e da capire.
«La condivisione delle percezioni/evocazioni che scaturiscono dai segnali sonar, si imparano con il tempo e richiedono che nella comunità si sia formato un linguaggio sonar comune, ovvero una connessione suoni-immagini acustiche che valga per l’intera comunità». Si può perciò presumere che il linguaggio sonar di un gruppo richieda un lungo periodo di apprendimento da parte dei suoi membri più giovani perché contiene molti elementi tipici ed esclusivi di una comunità. Ed è per questo che i delfini devono vivere un lungo periodo di apprendimento prima di formare un gruppo con il quale condividere il linguaggio. Un training lento e complicato, che permetta loro di orientarsi nella giungla dei segnali sonar degli altri membri del gruppo in modo da imparare ad ascoltare e a parlare la stessa lingua. Solo dopo questa lunga fase di apprendimento nascono solidi legami sociali. Con le relazioni echi-immagini, valide per tutti i membri della comunità, nascono i rapporti sociali. Gruppi diversi usano il linguaggio degli
echi con modalità diverse. In ogni caso, tramite l’ecolocalizzazione i delfini sono in grado di comunicare
fra loro chiamandosi per nome.
Ma quando inizia l’apprendimento?
Secondo lo studioso del Cnr il cucciolo di delfino comincia ad apprendere il linguaggio sonar addirittura dalla pancia materna «perché i suoni si propagano quasi allo stesso modo nell’oceano e nel corpo della madre». L’apprendimento continua poi dalla nascita ai quattro anni esclusivamente tramite la madre e poi tramite tutto il resto del gruppo. Un’ultima curiosità: i delfini ‘dormono’ galleggiando in superficie e una metà del loro cervello rimane intenta a vigilare, quindi, sono sempre coscienti.
Ma tutto questo è solo la punta dell’iceberg rispetto alla reale coscienza dei delfini… Basti pensare che Enlil, figlio di Anu fu il primo capostipide che mise piede sulla terra. Ma egli non andò direttamente sulla terra, entrò nelle acque perchè c’erano i delfini e le balene, il più elevato livello di coscienza sul pianeta. Enlil entrò nell’oceano per ricevere il permesso di estrarre l’Oro secondo i protocolli delle leggi galattiche che lo necessitano prima che una razza esterna possa introdursi in un sistema di coscienza diversa. Se sei aperto ad ogni possibilità e ritieni di poterti connettere comunicando con loro in modo chiaro e cosciente, sappi che puoi farlo dovunque ti trovi. Ripristinare questo rapporto simbiotico straordinario di esistenze tra la terra e il mare arricchirà la tua evoluzione e le tue risorse molto più di quanto tu possa immaginare. Sono Amici sempre disponibili e sanno sempre il fatto loro..
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PARTO NATURALE CON DELFINI
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